Come provare l’alterazione del decoro architettonico condominiale
Quando parliamo di decoro architettonico sono ben chiari alcuni concetti fondamentali che ne connotano i tratti principali.
Il decoro architettonico, si afferma (si veda ad es, Cass. n. 581/07), è costituito da quell’insieme di linee ed elementi che sia pur estremamente semplici sono in grado di caratterizzare l’estetica dell’edificio.
Il decoro architettonico, sono sempre la dottrina e la giurisprudenza a dircelo, è un bene comune, suscettibile di valutazione economica.
L’art. 1120 e 1122 c.c. vietano la sua alterazione, al pari dell’art. 1102 c.c. che però non contiene una espressa menzione di questo elemento estetico.
Alterazione del decoro
Alterare il decoro vuol dire peggiorare l’estetica dell’edificio e di conseguenza cagionare un danno economicamente valutabile (es. deprezzamento unità immobiliare) agli altri condòmini singolarmente e collettivamente intesi (si veda Cass. n. 1286/10).
Divieto di alterazione, quindi, non vuol dire divieto di assoluta immodificabilità, ma semplicemente divieto di modificare in peggio l’estetica.
Un abbellimento, ad esempio, non può mai essere contestato. Resta ferma la possibilità di prevedere nel regolamento condominiale contrattuale una assoluta immodificabilità delle parti comuni.
Provare l’alterazione del decoro dell’edificio vuol dire portare in giudizio degli elementi che consentano al giudice di accertare l’avvenuto peggioramento e consequenzialmente la diminuito di valore.
Fin qui la teoria, evidentemente molto semplice da esporre e ripetere. Come poi queste considerazioni di carattere generale trovino riscontro pratico, si dice di solito, è questione che non può essere generalizzata. Insomma è il giudice del caso concreto a dare forma viva a questi principi.
Una sentenza resa dalla Corte di Cassazione – la n. 4437 depositata in cancelleria il 21 febbraio 2017 – è particolarmente interessante in quanto nella descrizione dei fatti di causa riporta dettagliatamente il ragionamento svolto dai giudici di appello – la cui sentenza fu impugnata – in relazione alla mancanza di alterazione del decoro dell’edificio. Un caso in cui i fatti descritti sono più interessanti dei principi affermati.
L’utilità della sentenza sta nel fatto che consente di comprendere, più da vicino, come si sviluppa un ragionamento volto a valutare l’avvenuta (o meno) lesione dell’estetica di un edificio.
In questo caso dei condòmini lamentavano, tra le altre cose, l’alterazione del decoro architettonico dell’edificio connessa all’opera di un loro vicino che aveva trasformato una finestra in un portone per ricavare un autorimessa in un vano prima adibito ad altri usi.
Laddove prima c’era una sequenza del genere “finestra – portone – finestra” dopo l’intervento edilizio se ne presentava uno del genere “portone – portone – finestra”. Questa modificazione, per la Corte d’appello (e in realtà anche per la Cassazione che ha confermato la sentenza sul punto), non era alterativa del decoro.
Motivo?
Come si legge nella pronuncia in esame “la nuova apertura è stata munita di una porta con caratteristiche del tutto simili al vicino portone (con bugne, riquadri e colore del tutto simili) che, all’evidenza, richiama sotto il profilo estetico”. Come dire: sì c’è stato un cambiamento ma in armonia con quanto già presente.
La valutazione dell’assenza di alterazione è stato poi rafforzata dai giudici argomentando sulla vetustà e sulle caratteristiche generali dell’immobile (un edificio del 1947 senza particolare pregio) e del contesto urbano similare alla costruzione oggetto di modifica, la quale per queste ragioni non ha comportato alcun danno, concludendo che lo stile della facciata resta immutato.
Dei buoni spunti, non c’è che dire, da tenere a mente quando si blandisce lo spauracchio dell’alterazione del decoro per bloccare (magari legittime) iniziative dei singoli.
Avv. Alessandro Gallucci
Fonte http://www.condominioweb.com/valutazione-alterazione-del-decoro-architettonico.13543#ixzz4cYE1CIeR
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